In un caso sottoposto alla Suprema Corte, i ricorrenti, condannati dalla corte territoriale alla rimozione (o comunque all’arretramento) di una veranda realizzata in violazione delle norme sulle distanze legali, lamentavano tra l’altro l’erronea interpretazione da parte dei giudici di merito dell’art. 907 c.c., sostenendo che le aperture dei vicini non integravano gli estremi della veduta, dal momento che consentivano sì un’agevole visuale della veranda sottostante, ma non permettevano loro l’affaccio.
La pronuncia in esame, nel ravvisare la fondatezza del relativo motivo di ricorso (accolto assieme a quello che denunciava la violazione dell’art. 873 c.c., parimenti invocato dalla sentenza impugnata per giustificare la decisione sfavorevole ai proprietari della veranda) si basa su un principio di diritto già affermato più volte dalla Suprema corte, in virtù del quale i requisiti essenziali per poter esercitare il diritto reale di veduta consistono: i) nell’inspectio, ossia nella possibilità di guardare non solo di fronte ma anche obliquamente e lateralmente il fondo servente, assoggettandolo così ad una visuale mobile e globale (nel senso che la distanza della nuova costruzione dalla preesistente veduta dev’essere misurata in maniera radiale, v. Cass. 20 giugno 2017, n. 15244, Foro it., Rep. 2017, voce Luci e vedute, n. 4); ii) nella prospectio, ossia nella possibilità di affacciarsi sul fondo alieno (v., ad es., Cass. 10 gennaio 2017, n. 346, ibid., n. 1, secondo cui, affinché sussista una veduta ex art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della inspectio, anche quello della prospectio sul fondo del vicino, dovendo detta apertura consentire non solo di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi; nel medesimo senso Cass. 21 maggio 2012, n. 8009, id., Rep. 2012, voce cit., n. 3, dove si è escluso che possa attribuirsi natura di veduta a finestre, poste all’altezza di un metro e cinquantacinque centimetri dal pavimento ed aperte in un muro dello spessore di trenta centimetri, non consentendo esse a persona di media statura una comoda prospectio, ovvero di guardare e sporgere comodamente il capo verso il fondo limitrofo, senza che abbia rilievo la possibilità di affacciarsi stando in punta di piedi, in quanto una simile posizione comporta uno sforzo naturale sostenibile solo per un periodo di tempo minimo e determina una situazione di instabile equilibrio). In quest’ottica, il Supremo collegio ha di recente evidenziato come non sia qualificabile come veduta la soletta di copertura di un fabbricato, normalmente accessibile e praticabile, priva di parapetto idoneo a garantire l’inspectio e la prospectio in alienum in condizioni di comodità e sicurezza (Cass. 10 febbraio 2020, n. 3043, id., 2020, I, 2415). Risulta così ribadito il superamento dall’orientamento più risalente secondo cui l’elemento che caratterizza la veduta rispetto alla luce è la semplice possibilità di avere una visuale agevole sul fondo del vicino, senza l’utilizzo di mezzi artificiali (di cui vi è traccia ancora in Cass. 8 ottobre 2013 n. 22887, id., Rep. 2013, voce cit., n. 2; v. anche Cass. 4 gennaio 1993, n. 17, id., Rep. 1993, voce cit., n. 1).