Per vincere una causa contro un gestore telefonico occorre il tentativo di conciliazione

Per vincere una causa contro un gestore telefonico occorre il tentativo di conciliazione

Il tentativo di conciliazione tra utenti e operatori di comunicazioni elettroniche è condizione di procedibilità della domanda.
Nella vicenda oggetto della pronuncia in commento è venuta in rilievo la questione se il tentativo obbligatorio di conciliazione in materia di telecomunicazioni sia previsto come condizione di procedibilità o di proponibilità della domanda.
In altri termini, i giudici di legittimità si interrogano se l’impedimento giuridico che si frappone all’esercizio della pretesa in sede giudiziaria in mancanza del (previo esperimento del) tentativo di conciliazione, sia da qualificare in termini di improponibilità ovvero di improcedibilità della domanda.
La pronuncia in epigrafe si conforma all’insegnamento del giudice della nomofilachia ad avviso del quale al previo esperimento del tentativo di conciliazione in materia di comunicazioni è stato univocamente attribuito il rilievo di condizione di procedibilità della domanda, sulla base di una lettura costituzionalmente orientata della norma, successivamente recepita dall’art. 3 dell’Allegato A della Delib. n. 173/07/Cons della medesima Autorità, secondo cui “per le controversie di cui all’art. 2, comma 1, il ricorso in sede giurisdizionale è improcedibile fino a che non sia stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione davanti al Co.Re.Com competente per territorio munito di delega a svolgere funzione conciliativa, ovvero dinanzi agli organi di risoluzione extragiudiziale delle controversie di cui all’art. 13” (Cass., sez. Un., 28 aprile, n. 8241, in Foro it., 2021, I, 292, con nota di M. MARZOCCO ANTONIO, Condizione di procedibilità e giurisdizione condizionata nel tentativo di conciliazione in materia di comunicazioni elettroniche: riflessioni sull’intervento delle sezioni unite).
Pertanto, il preventivo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione in materia di comunicazioni viene qualificato quale condizione di procedibilità della domanda.
L’improcedibilità è individuata in una conseguenza (non di un originario difetto della domanda ma) della carenza di un atto di impulso che consenta alla stessa di pervenire al suo fine ultimo. La domanda improcedibile permette il compimento di atti processuali originariamente validi che poi sono destinati a cadere per mancanza di un requisito susseguente. L’improcedibilità nasce sempre in una sequenza di atti – processuale che segue a processuale, o anche preprocessuale a processuale – e, aggiungiamo, sequenza non meramente eventuale ma prescritta come doverosa. Essa può definirsi dunque come la conseguenza, di natura sanzionatoria e perciò doverosamente testuale, di un comportamento procedurale omissivo, derivante dal mancato compimento di un atto, espressamente configurato come necessario a tal fine, della sequenza d’avvio di un dato processo (G, FANELLI, Le Sezioni Unite fanno chiarezza sulle conseguenze del mancato esperimento del tentativo di conciliazione in materia di telecomunicazioni, in www. GiustiziaCivile.com).
II. Il tentativo di conciliazione in esame, per le esigenze di fondo che lo contraddistinguono, si presta ad essere maggiormente assimilato ad altre ipotesi, ben più vicine nell’esigenza di tutelare attraverso di esso la parte contrattualmente più debole, quali il tentativo obbligatorio che era previsto, a pena di improcedibilità, nelle controversie di lavoro ed assimilate dall’art. 412 bis c.p.c., la cui mancata proposizione era rilevabile dal giudice entro il primo grado e dava luogo alla sospensione del giudizio per poi proseguire, previa riassunzione, dopo l’esperimento (e sempre nel settore giuslavoristico, dalla l. n. 108/1990, art. 2, relativa ai licenziamenti individuali, il cui mancato previo esperimento è sanzionato sempre con l’improcedibilità rilevabile anche d’ufficio ma nella prima udienza di discussione), o quello previsto dal d.lgs. n. 65/2001, art. 65, sempre a pena di improcedibilità, nelle controversie individuali di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, anche qui con un meccanismo che prevede la sospensione e poi la riassunzione, e quindi la possibilità di superare l’ostacolo dando luogo all’attività prevista dalla legge, e proseguendo in caso di esito negativo il giudizio già intrapreso.
Altra ipotesi di tentativo di conciliazione obbligatorio a tutela di interessi assimilabili a quelli in gioco, ricorre nella disciplina della subfornitura, dove la legge (l. n. 192/1998, art. 10, abrogato dal d.lgs. n. 219/2016) non disciplinava espressamente i riflessi del mancato esperimento del tentativo stesso, ma la dottrina ha ritenuto più coerente con gli scopi di esso nonché con i precetti scolpiti negli artt. 3 e 24 Cost., la sanzione della improcedibilità della domanda, perché rilevabile solo entro circoscritti limiti di tempo e suscettibile di determinare solo uno iato, una sospensione nel procedimento giudiziario ove già avviato.
In una prospettiva costituzionalmente orientata, la configurazione del tentativo di conciliazione come condizione di procedibilità costituisca un’opzione privilegiata perché consente di contemperare le finalità deflattive perseguite mediante le procedure di conciliazione con i principi costituzionali posti a presidio del diritto di difesa e della ragionevolezza stessa della previsione.
Una interpretazione siffatta non collide con il principio di effettività della tutela giurisdizionale (fissato dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), al cui rispetto il Giudice dell’Unione europea ha più volte richiamato il giudice italiano proprio in questa materia, in considerazione degli interessi sostanziali in gioco.
III. Conclusivamente, il mancato previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dalla l. n. 249/1997, art. 1, per poter introdurre una controversia in materia di telecomunicazioni, dia luogo alla improcedibilità e non alla improponibilità della domanda.
A fronte di ciò, il giudizio non si chiude con una pronuncia in rito, ma il giudice deve sospendere il giudizio e fissare un termine per consentire alle parti di dar luogo al tentativo, per poi proseguire il giudizio dinanzi a sé.
L’improcedibilità opera in questo caso con salvaguardia degli effetti sia sostanziali che processuali della domanda, e con effetto sospensivo del giudizio, circostanze desumibili sia dalla disciplina delle principali ipotesi di tentativo obbligatorio di conciliazione preesistenti alla introduzione di quello in materia di telecomunicazioni (dal tentativo disciplinato dall’art. 412 bis c.p.c., nel processo giuslavoristico, dall’art. 443 c.p.c., in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, dal d.lgs. n. 165/2001, art. 65, comma 3, in materia di pubblico impiego, dalla l. n. 108/1990, art. 5, comma 1, in materia di licenziamenti individuali), sia dalla disciplina successiva e generale dettata dal d.lgs. n. 28/2010, art. 5, introduttivo, in riferimento ad un’ampia serie di materie, del preventivo tentativo di mediazione obbligatorio.
In tutti questi casi, la mancata instaurazione di tale procedimento determina un rinvio dell’udienza (per cui restano validi gli atti compiuti e ferme le preclusioni già maturate) ad un momento successivo al termine concesso dal giudice per dar luogo o per concludere il tentativo.
Pertanto, in applicazione dello schema della condizione di procedibilità, il mancato previo esperimento del tentativo non determina la conclusione in rito del processo, ma il giudice deve sospenderlo e fissare un termine per consentire alle parti di esperire il tentativo di conciliazione, con salvezza di tutti gli effetti sostanziali e processuali della domanda giudiziale.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp

Hai bisogno di aiuto?

Contattaci, un nostro consulente è pronto ad ascoltarti e trovare la giusta soluzione.

Scrivici