Sulla Gazzetta ufficiale n. 174 del 27 luglio 2023 è stato pubblicato il d.p.c.m. 11 luglio 2023, che, celando la sua natura regolamentare sotto la forma prescelta dal d.l. 198 del 2022 del quale si dirà (natura puntualmente rilevata, tuttavia, nei pareri resi in sede consultiva dal Consiglio di Stato in data 23 maggio e 4 luglio 2023: li presentiamo in un file pdf unico, l’uno di seguito all’altro, il primo avendo natura interlocutoria), individua requisiti e parametri per l’iscrizione nell’elenco delle Agenzie di rilevanza nazionale.
La misura dà attuazione all’art. 17 d.l. 29 dicembre 2022, n. 198, conv. con modific. con l. 24 febbraio 2023, n. 14, che, al dichiarato fine di garantire una completa informazione attraverso la più ampia pluralità delle fonti e in considerazione della particolare natura dei servizi di informazione primaria, prevede che siano iscritte in un elenco istituito presso il Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri le agenzie di stampa di rilevanza nazionale, così come definite e individuate, in base al possesso di specifici requisiti e parametri qualitativi e dimensionali, da un decreto del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all’informazione e all’editoria.
Si avrà modo di tornare, in altra sede, sul complesso delle previsioni che aspirano a regolamentare il settore, attraverso l’erogazione di fondi correlati ad una serie di parametri destinati a valorizzare il lavoro giornalistico e la selezione di giovani professionisti.
Tuttavia, ad una prima lettura del d.p.c.m., colpisce un dato non illuminato dal pur ampio preambolo del decreto (della relazione conclusiva dei lavori del Comitato consultivo – che lo stesso preambolo continua a tenere distinta dall’«apposita proposta» formulata dal Comitato – neanche il Consiglio di Stato ha potuto prendere visione, come rivela l’analisi del secondo parere). Tra i requisiti organizzativi previsti dall’art. 2, comma 1, d.p.c.m. compare il seguente: «l’istituzione, almeno al momento della presentazione della istanza di iscrizione all’elenco di cui all’art. 1, della figura del Garante della informazione avente la funzione di assicurare la qualità delle informazioni ed impedire la diffusione di fake news, avente provata professionalità, esperienza, imparzialità e senza una pregressa appartenenza all’Agenzia presso cui opera» (lett. f).
Si ripete, nonostante la copia di parole utilizzate, nonostante l’insistente rilievo assegnato alla qualità dell’informazione (nel preambolo si legge, con una sovrapposizione di piani teleologici, che «lo scopo dell’azione pubblica risulta dunque duplice: a) garantire la presenza di più Agenzie in grado di raccogliere le informazioni primarie da diffondere nel pubblico, nel rispetto di adeguati standard qualitativi intesi come professionalità, completezza, correttezza, affidabilità, tempestività e continuità delle informazioni; b) permettere alle pubbliche amministrazioni un’acquisizione completa e tempestiva di tali informazioni per un più efficiente svolgimento dei rispettivi compiti»), che non viene spiegato: a) con quali poteri e modalità procedimentali il Garante dovrebbe operare (verifica preventiva o verifica successiva, con i conseguenti risvolti su tempistica dell’informazione e sui rapporti con la direzione; deve essere previsto un potere di veto?); b) che cosa si intende per «qualità dell’informazione»? qualità dell’informazione in generale o in rapporto di endiadi con le fake news? ); c) con quali non ancora definiti (e da chi individuati, al di fuori del d.p.c.m. che si esamina?) requisiti di professionalità, esperienza e imparzialità dovrebbero essere selezionati i garanti.
Un obiettivo fumosamente descritto, insomma, soprattutto, si ripete, alla luce del riferimento alla qualità dell’informazione, che lascia nelle nebbie la reale portata degli strumenti immaginati per la sua realizzazione e destinati ad essere individuati con una fonte del diritto, come detto, non specificata. D’altra parte, appare evidente che ogni controllo preventivo sull’informazione, sia pure al fine, in astratto non seriamente contestabile di garantire la qualità delle notizie, entra in rotta di collisione con l’art. 21, secondo comma, Cost.
Insomma: una verifica successiva, oltre a doversi coordinare con i rimedi di natura penale, civile e disciplinare, appare inutile o andrebbe chiarita nelle sue conseguenze sanzionatorie; una verifica preventiva, in nome di una indefinita qualità dell’informazione, si pone, nel bilanciamento con la libertà di stampa, nell’area della censura e collide con una pluralità di fonti (v., ad es., l’art. 2, lett. d) del testo unico dei doveri del giornalista – «www.https://www.odg.it/testo-unico-dei-doveri-del-giornalista» -, a mente del quale quest’ultimo: «accetta indicazioni e direttive soltanto dalle gerarchie redazionali, purché le disposizioni non siano contrarie alla legge professionale, al Contratto nazionale di lavoro e alla deontologia professionale»).
Nel silenzio di un decisore non alieno da spiegazioni quanto agli altri requisiti, non resta che attendere con qualche apprensione, nella cornice del caveat del capo dello Stato, posto in esergo alle brevi note che precedono.