Diritto di ritenzione pattizio

Diritto di ritenzione pattizio

Secondo la pronuncia qui riportata, il diritto di ritenzione pattizio costituisce una forma di autotutela che attribuisce un diritto potestativo di ritenere il bene (nella specie, titoli obbligazionari) a una delle parti del regolamento contrattuale (nella specie, l’istituto bancario di cui era cliente l’intestatario dei titoli), avente efficacia meramente inter partes tra retentor (e non erga omnes, come erroneamente ritenuto dalla corte territoriale). Pertanto, “il diritto di ritenzione pattizio non attribuisce al detentore alcun effetto di blocco della circolazione del bene”, né “alcuno impedimento rispetto ad un’azione esecutiva esercitata da un terzo creditore”. Al retentor risulta altresì preclusa la vendita diretta del bene oggetto del proprio diritto (nel senso che integra il reato di appropriazione indebita la condotta del titolare di un diritto di ritenzione che venda i beni oggetto del privilegio senza rispettare le formalità per la vendita del pegno, così violando l’art. 2756, 3° comma c.c., v. Cass. 17 maggio 2001-5 luglio 2001, n. 27356, ForoPlus). Dal conto proprio, il Collegio di coordinamento dell’Arbitro bancario finanziario ha considerato nulla la clausola che attribuisce alla banca il jus vendendi dei titoli presso le medesima depositati in collegamento con il diritto di ritenzione. Alla luce di quanto statuito in ordine al diritto di ritenzione pattizio, la Suprema corte ha cassato la pronuncia di merito che aveva respinto la domanda risarcitoria spiegata nei confronti della banca depositaria dei titoli da parte di un creditore del relativo intestatario, il quale si doleva del pregiudizio scaturito dal fatto che la banca, proprio facendo leva sul diritto di ritenzione, aveva venduto detti titoli (circostanza che il creditore aveva appreso dalla dichiarazione negativa dalla medesima rilasciata nel corso della procedura esecutiva presso terzi che egli aveva promosso in virtù di decreto ingiuntivo non opposto dal debitore).

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