Tribunale di Verona; decreto 16 marzo 2023, Pres. rel. VACCARI
Il ricorso introduttivo del procedimento in materia di persone, minorenni e famiglia, se è privo dei
requisiti e della documentazione previsti dall’art. 473 bis.12 c.p.c., è destinato ad essere
dichiarato inammissibile (nella specie il presidente, sul presupposto che l’inammissibilità debba
essere dichiarata con sentenza, con il decreto ex art. 473 bis.14 ha nominato sé stesso relatore,
delegandosi per la trattazione della causa, ed ha fissato l’udienza di prima comparizione) (1).
(1) Per quel che risulta, il provvedimento riportato in epigrafe rappresenta il primo caso di ricorso
introduttivo di un procedimento in materia di persone, minorenni e famiglia (introdotto nel nostro
ordinamento dal d.leg. 149/2022) destinato ad essere dichiarato inammissibile.
A quel che traspare dal decreto, il ricorso riguarda un procedimento ex art. 337 bis c.c.: sembra,
pertanto, logico ritenere che si sia in presenza di contenzioso tra genitori non coniugati avente ad
oggetto l’affidamento e/o il mantenimento di figli minori, da trattarsi, in quanto instaurato dopo il
28 febbraio 2023, secondo la disciplina prevista dal nuovo titolo IV bis del libro II del codice di
procedura civile (art. 473 bis ss, in particolare, art. 473 bis.47 ss. c.p.c.).
Il presidente estensore, preso atto della mancanza nel ricorso dei requisiti e della documentazione
prescritti dall’art. 473 bis.12, sul presupposto che tali vizi non siano sanabili e comportino
l’inammissibilità della domanda (che va pronunciata con sentenza), ha emesso, ai sensi dell’art. 473
bis.14 c.p.c., il decreto di fissazione dell’udienza, designando sé stesso relatore, con delega alla
trattazione della causa.
In particolare, i vizi riscontrati nel ricorso dal presidente relatore sono: 1) scelta del rito camerale
invece di quello del procedimento uniforme; 2) mancata indicazione dei mezzi di prova e dei
documenti (art. 473 bis.12, 1° comma, lett.f); 3) mancata indicazione dei procedimenti e mancata
allegazione dei provvedimenti indicati dall’art. 473 bis.12, 2° comma; 4) mancata allegazione della
documentazione economica prescritta dall’art. 473 bis.12, 3° comma; 5) mancata allegazione del
paino genitoriale di cui al 4° comma dell’art. 473 bis.12 c.p.c.
La singolarità del provvedimento in epigrafe è data, tra l’altro, dal fatto che il presidente relatore ha
apertis verbis anticipato la decisione della controversia, sostenendo che i vizi riscontrati non siano
sanabili e vadano sanzionati con la declaratoria di inammissibilità della domanda. Sennonché tale
soluzione non è ineluttabile perché la decisione della causa spetta al collegio (art. 473 bis.1),
sicché ben potrebbe accadere che gli altri due componenti del collegio la pensino diversamente e
mettano in minoranza il presidente.
2
Comunque vada, la causa sembra avviata ad essere definita secondo il modulo decisorio previsto
dall’art. 473 bis.22, ult. comma. Invero, essendosi in presenza di questione di rito idonea (almeno
astrattamente) a definire immediatamente la causa senza bisogno di attività istruttoria, il giudice
delegato, fatte precisare le conclusioni, deve pronunciare i provvedimenti temporanei ed urgenti
che ritiene opportuni nell’interesse delle parti, nei limiti delle domande da queste proposte, e dei
figli; indi deve ordinare la discussione orale della causa nella stessa udienza o, su istanza di parte,
in un’udienza successiva; ed infine deve trattenere la causa in decisione, riservandosi di riferire al
collegio.
Per una disamina delle problematiche suscitate dal provvedimento riportato in epigrafe, si rinvia
alla nota di CEA che segue.
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Il difficile avvio del procedimento in materia di persone, minorenni e famiglia
1- Dicono che il buongiorno si veda dal mattino. Se così è, credo che non ci sia motivo per stare
allegri.
Intendiamoci, quando la giustizia civile è investita da un processo riformatore di tale portata qual è
quello voluto dall’ex Guardasigilli Marta Cartabia, è normale attraversare un periodo di incertezze
interpretative e di conseguenti fibrillazioni degli operatori pratici. Nel caso, però, rappresentato dal
provvedimento che si commenta si va ben oltre tale fenomeno, perché ho la netta sensazione che,
più che di fronte ad un comprensibile disorientamento derivante dal dover applicare nuove regole,
si sia in presenza di una precisa volontà tesa ad esaltare le difficoltà conseguenti alla riforma
processuale per dimostrane la totale inadeguatezza.
Consapevole della severità di questo giudizio, facendomi carico dell’onere di dimostrarne la
fondatezza, mi sembra opportuno innanzitutto partire dall’esame del caso concreto sfociato nel
provvedimento in epigrafe.
Una precisazione preliminare è doverosa. Ci troviamo di fronte ad un decreto di fissazione
dell’udienza di prima comparizione conseguente al deposito di un ricorso, sicché per la
ricostruzione della vicenda concreta dedotta in giudizio dobbiamo affidarci alle scarne indicazioni
contenute nel provvedimento.
Tanto precisato, sembra di capire che si sia in presenza di un ricorso che il presidente del
Tribunale di Verona ha inteso quale atto introduttivo di un giudizio camerale, desumendo tale
circostanza dal richiamo all’art. 337 bis c.c. contenuto nell’intestazione dello stesso. Sulla scorta di
3
tale abbrivio, rilevato che il ricorso era stato proposto successivamente all’entrata in vigore del
d.lgs. 149/2022 ed era quindi soggetto al rito uniforme ex art. 473 bis. c.p.c., il giudice ha
constatato che l’atto «è privo dei requisiti di contenuto di cui all’art. 473 bis 12, primo comma, lett.
f), e secondo, comma c.p.c. e non è corredato dalla documentazione richiesta dal terzo e quarto
comma della stessa norma». Ragion per cui, poiché «le predette omissioni non potranno essere
sanate nel prosieguo atteso che l’atto introduttivo del giudizio, nella prospettiva della riforma, deve
essere completo sia delle allegazioni che delle richieste di prova e della produzioni documentali»
(…) «il ricorso è destinato ad essere dichiarato inammissibile, sia pure solo con sentenza, non
essendo previste, dal nuovo rito, modalità diverse di decisione».
1 Sicché, dovendo il giudizio
essere definito con sentenza, il presidente del tribunale ha proceduto in conformità di quanto
prescritto dall’art. 473 bis.12, designando sé stesso relatore con delega alla trattazione della causa.
2 – Primo rilievo: ammesso pure che il ricorso fosse teso all’instaurazione di un giudizio camerale,2
è del tutto pacifico che l’errore sul rito consente la prosecuzione del processo nelle forme previste
dal modello processuale applicabile e in nessun caso consente la definizione in rito del giudizio.3
Né va dimenticato che nei casi in cui la giurisprudenza è giunta alla criticatissima soluzione di
inammissibilità,4
ciò non è dipeso dall’errore sul rito, bensì dal tardivo esercizio dell’azione, che
non ha consentito alla parte di rispettare la decadenza prevista dalla legge.
Quindi, parlare di inammissibilità, come fa il provvedimento in epigrafe, è del tutto fuori luogo.
3 – Problema in parte più serio è quello relativo alle conseguenze della proposizione della domanda
con un ricorso privo dei contenuti prescritti dall’art. 473 bis.12.
3.1 – Innanzitutto il decreto in commento rimarca la mancata indicazione dei mezzi di prova dei
quali l’attore intende avvalersi e dei documenti che offre in comunicazione (art. 473 bis, 1°
comma, lett. f). A tal proposito lo stesso provvedimento precisa che tale omissione non potrà
essere sanata nel prosieguo del giudizio, perché “ l’atto introduttivo del giudizio, nella prospettiva
della riforma, deve essere completo sia delle allegazioni che delle richieste di prova e della
produzioni documentali”.
1 L’enfasi è dell’estensore del provvedimento.
2 E per il vero non è pure chiaro come il giudice abbia desunto dall’intestazione del ricorso (in cui si fa riferimento
all’art. 337 bis c.c.) che la parte abbia voluto introdurre un giudizio camerale, giacché il ricorso è la forma dell’atto da
utilizzare tanto se si voglia iniziare un procedimento camerale, quanto se si voglia instaurare il procedimento uniforme
ex art. 473 bis ss. c.p.c
3 Tra gli ultimi, per tutti, v. COSTANTINO, Questioni di coordinamento tra il nuovo “ procedimento unificato” e le
altre forme di tutela giurisdizionale delle persone, dei minorenni e delle famiglie, in corso di pubblicazione in Riv. dir.
proc., 2023, par. 4; scritto che ho potuto consultare in anteprima grazie alla gentilezza del suo Autore.
4 Per tutti, v. BALENA, Precisazioni giurisprudenziali e novità normative in tema di errore sul rito, Giusto proc. civ.,
2022, 319 ss.
4
L’affermazione è sorprendente perché la riforma, così come si è inverata nel d.lgs. 149/2022, non
ha sposato il principio di eventualità, ma ha adottato un modello di preclusioni a formazione
progressiva, come si evince chiaramente dall’art. 437 bis.17, che ha previsto la fissazione
definitiva del thema decidendum e del thema probandum al momento del deposito delle ulteriori
difese delle parti che precedono sì l’udienza di prima comparizione, ma sono pur sempre
successive agli atti introduttivi del giudizio.
Non senza, peraltro, dimenticare che, anche nei procedimenti nei quali è adottato il principio di
eventualità, quelli in cui, cioè, l’operatività delle preclusioni è ancorata agli atti introduttivi, la
mancata indicazione dei mezzi di prove e dei documenti non determina una pronuncia di
inammissibilità, ma il rigetto (nel merito) delle domande e delle eccezioni per inottemperanza
dell’onere della prova.
3.2 – Ulteriore vizio imputato al ricorrente è quello di non aver rispettato il secondo comma
dell’art. 473 bis, a mente del quale “il ricorso deve altresì indicare l’esistenza di altri procedimenti
aventi a oggetto, in tutto o in parte, le medesime domande o domande ad esse connesse. Ad esso è
allegata copia di eventuali provvedimenti, anche provvisori, già adottati in tali procedimenti”.
A stare alla lettera della legge, a me sembra che il legislatore abbia voluto imporre alle parti5
un
onere in positivo, nel senso, cioè, che esse sono tenute alla relativa indicazione se esistono i
procedimenti ed i provvedimenti di cui parla la legge. Il che significa che, se tali procedimenti e
provvedimenti non esistono, le parti possono legittimamente tacere, senza che tale silenzio venga
considerato come inottemperanza alla norma esaminata.
Ciò detto, vista la puntigliosa acribìa di alcuni giudici, sarebbe il caso che gli avvocati ne prendano
atto e si comportino di conseguenza, facendosi carico anche dell’onere in negativo e specificando
negli atti introduttivi che, per quanto a loro risulta, non esistono i procedimenti e i provvedimenti
di cui si parla nel secondo comma dell’art. 473 bis.12.
Mi rendo conto che ciò significa espandere il principio di precauzione alle sue massime
conseguenze, ma coi tempi che corrono la prudenza non è mai troppa (anche perché le
conseguenze negative ricadono soltanto sulle parti).
3.3 – Ultimo vizio imputato al ricorrente è quello di non aver prodotto la documentazione prescritta
dai commi terzo e quarto dell’art. 473 bis.12.
L’art. 473 bis. 12, 3° comma, prescrive che, in caso di domande di contributo economico o in
presenza di figli minori, al ricorso sono allegati: a) le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni;
5 La stessa prescrizione vige per il convenuto: v. l’art. 473 bis.16.
5
b) la documentazione attestante la titolarità di diritti reali su beni immobili e beni mobili registrati,
nonché di quote sociali; c) gli estratti conto dei rapporti bancari e finanziari relativi agli ultimi tre
anni”.
Si è in presenza di una norma la cui adozione è frutto dell’esperienza del contenzioso soprattutto in
tema di separazione e divorzio (nonché tra genitori non coniugati allorché si disputi sul
mantenimento dei figli). Se rispettata, la norma, senza ricadere nei rigori di una prassi che
addirittura attribuiva conseguenze penali alla mancata ottemperanza all’obbligo di produrre in
giudizio la documentazione economica,6 mira a favorire una completa ed anticipata disclosure che
dovrebbe permettere al giudice di adottare statuizioni conformi alla realtà effettuale in tema di
contributi economici.
Come è facilmente intuibile, norme di tal fatta, perché funzionino, devono essere corredate da un
apparato sanzionatorio dissuasivo della volontà di eluderle. Di qui la previsione dettata dall’art.
473 bis.18, secondo cui “il comportamento della parte che in ordine alle proprie condizioni
economiche rende informazioni o effettua produzioni documentali inesatte o incomplete è
valutabile ai sensi del secondo comma dell’articolo 116, nonché ai sensi del primo comma
dell’articolo 92 e dell’articolo 96”. Il che significa che l’inottemperanza alla disposizione di cui al
terzo comma dell’art. 473 bis.12, oltre ad influire sul convincimento del giudice circa la decisione
da adottare, potrebbe avere ricadute economiche di non lieve momento, perché esporrebbe
l’inottemperante alle conseguenze in tema di spese di cui all’art. 92, 1° comma, ma soprattutto alle
condanne previste da terzo e quarto comma dell’art. 96 c.p.c.
Orbene, il fatto che il legislatore abbia espressamente previsto le sanzioni di cui all’art. 473 bis.18
lascia chiaramente intendere che siano solo queste le conseguenze collegate al mancato rispetto
della norma in questione. Infatti, se la mancata allegazione della documentazione prescritta
dall’art. 473 bis.12 comportasse l’inammissibilità della domanda, la norma dettata dall’art. 473
bis.18, prima ancora che inutile, sarebbe incomprensibile.
3.4 – Più complesso è il problema del mancato rispetto dell’onere prescritto dal 4° comma dell’art.
473 bis.12, che così recita: “nei procedimenti relativi ai minori, al ricorso è allegato un piano
genitoriale che indica gli impegni e le attività quotidiane dei figli relative alla scuola, al percorso
educativo, alle attività extrascolastiche, alle frequentazioni abituali e alle vacanze normalmente
godute”.
6 A riguardo, per tutti, v. CECCHELLA, Gli atti introduttivi, le preclusioni e le riaperture difensive. L’istruttoria, in
La riforma del processo e del giudice per le persone, per i minorenni e per le famiglie. Il decreto legislativo 10
ottobre 2022, n. 149 (a cura di CECCHELLA), Torino, 2023, 26.
6
Anche in questo caso il fondamento della norma è di chiara evidenza: si tratta di far pervenire al
giudice, in limite litis, tutte quelle informazioni che gli consentano di adottare i provvedimenti più
opportuni nell’interesse dei minori, tenuto conto dell’effettiva realtà in cui essi sono immersi. Non
senza dimenticare che, nei procedimenti di separazione, di scioglimento o cessazione degli effetti
civili del matrimonio, di scioglimento dell’unione civile e di regolamentazione dell’esercizio della
responsabilità genitoriale, nonché di modifica delle relative condizioni (artt. 473 bis.47 ss., c.p.c),
al giudice, nell’emettere i provvedimenti temporanei ed urgenti, è attribuito anche il potere di
indicare le informazioni che ciascun genitore è tenuto a comunicare all’altro e di formulare una
proposta di piano genitoriale tenendo conto di quelli allegati dalle parti.
Che alla proposta di piano genitoriale il legislatore attribuisca notevole importanza, lo si desume
agevolmente dal fatto che il mancato rispetto delle condizioni ivi previste, ove le parti accettino la
proposta del giudice, espone l’inadempiente alle onerose sanzioni previste dall’art. 473 bis.39 (v.
art. 473 bis.50).
Ciò nondimeno, nonostante l’importanza che la riforma attribuisce al piano genitoriale, il
legislatore non ha previsto una specifica sanzione in caso di sua mancata allegazione al ricorso,7
giacché, come si è detto in precedenza, le uniche sanzioni previste operano soltanto in caso di
mancato rispetto delle prescrizioni del piano genitoriale proposto dal giudice ed accettato dalle
parti.
Rebus sic stantibus, il problema non può certo risolversi a botte di diritto pretorio, inventandosi un
sanzione – quella dell’inammissibilità – che non sta né in cielo, né in terra perché priva di qualsiasi
riscontro positivo.
Se, invece, si entra nell’ordine di idee di intraprendere un percorso ermeneutico che possa sfociare
in soluzioni condivisibili ex positivo iure, occorre andare alle radici del problema e tener conto
delle funzioni che la legge attribuisce all’atto introduttivo del giudizio.
Innanzitutto viene in considerazione la c.d. editio actionis, cioè l’individuazione del diritto o status
azionati. C’è poi la vocatio in ius, ma tale profilo non riguarda il ricorso, visto che la vocatio in ius
discende dal decreto del giudice di fissazione dell’udienza e dalla conseguente notificazione del
ricorso e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza da parte del ricorrente. Infine, occorre
tener conto che l’atto introduttivo del giudizio deve rispondere a determinati requisiti non solo per
consentire al convenuto di difendersi, ma anche per permettere al giudice di esercitare con
cognizione di causa all’udienza di prima comparizione i poteri che la legge gli attribuisce, ragion
per cui l’esposizione dei fatti (anche quelli secondari) rileva ai fini della validità dell’atto
introduttivo del giudizio.
7 O alla comparsa di costituzione: art. 473 bis.16
7
A riguardo occorre considerare che il giudice nel procedimento uniforme, oltre a verificare la
regolare instaurazione del contraddittorio, deve ascoltare le parti (e eventualmente i figli), deve
tentare di conciliarle, formulando eventualmente una proposta di conciliazione ed infine emettere i
provvedimenti temporanei ed urgenti, che, come risulta dall’art. 473 bis.21, sono previsti anche in
caso di raggiunto accordo delle parti. Infine, se si tratta di controversie ex art. 473 bis.47 ss., il
giudice deve indicare le informazioni che ciascun genitore è tenuto a comunicare all’altro e
formulare una proposta di piano genitoriale, tenendo conto di quelli allegati dalle parti.
Come è facilmente intuibile, in tanto il giudice potrà esercitare incisivamente questi poteri, in
quanto le parti abbiano ottemperato alle prescrizioni che regolano il contenuto degli atti
introduttivi del giudizio. Ma perché ciò avvenga, è necessario che la legge preveda dei rimedi in
caso le parti non ottemperino a queste prescrizioni.
Orbene, aderendo all’indirizzo interpretativo che ritiene applicabile l’art. 164 c.p.c. anche all’ipotesi
di giudizio instaurato con ricorso,8
e prendendo in considerazione soltanto i vizi cui fa riferimento
il quarto comma dell’art. 164 c.p.c., si potrebbe affermare che in caso di carenze circa l’editio
actionis il giudice avrebbe il potere-dovere di ordinare l’integrazione del ricorso e, in caso di
inottemperanza dell’attore, dichiarare estinto il giudizio.
Resta il fatto che l’art. 473 bis.12 contiene altre prescrizioni palesemente finalizzate a consentire al
giudice di esercitare quei poteri che innanzi abbiamo indicato.
Come abbiamo già detto, ci si riferisce, in caso di domande di contributi economici, all’allegazione
dei documenti indicati dal 3° comma dell’art. 473 bis.12, ovvero, in caso di procedimenti relativi ai
minori, all’allegazione del piano genitoriale previsto dall’ultimo comma dell’articolo in commento.
Nulla impedisce al giudice che ravvisi tali carenze del ricorso di ordinarne la relativa integrazione.
Il problema è capire quale possa essere la conseguenza dell’inottemperanza dell’ordine di
integrazione.
Per quel che concerne l’allegazione della documentazione economica, ce ne siamo occupati in
precedenza allorché abbiamo accertato che la mancata allegazione di detta documentazione
comporta le conseguenze previste dall’art. 473.18. Il che mi induce ad affermare che, essendo stata
prevista espressamente la sanzione che consegue alla mancata allegazione di tali documenti, non si
possa parlare di estinzione del processo
Per quel che concerne, invece, il piano genitoriale, nonostante l’importanza che la legge attribuisce
a tale adempimento, il legislatore non ha previsto una specifica sanzione come nel caso di mancata
allegazione della documentazione economica. Sicché delle due l’una. O si ritiene che la mancata
allegazione del piano genitoriale equivalga a mancata esposizione dei fatti relativi alle domande
8 Per tutte, tra le tante, v. Cass. 3508/2015, 896/2014.
8
concernenti i minori (per esempio, quelle in tema di affidamento e collocazione degli stessi), ed
allora potrà operare il meccanismo ordine di integrazione-inosservanza-estinzione. Oppure bisogna
prendere atto che la mancata allegazione del piano genitoriale, pur dopo l’ordine di integrazione
del giudice, è priva di sanzioni.9
Propendere per il primo corno del’alternativa probabilmente significa affidarsi ad
un’interpretazione praeter legem; difficilmente, però, potrà contestarsi che tale operazione
ermeneutica non sia rispettosa della ratio della norma dettata dall’ultimo comma dell’art. 473
bis.12 c.p.c.
4 – Un ultimo rilievo.
Tra le tante singolarità che caratterizzano il provvedimento in epigrafe, forse la più sorprendente
(ammesso che sia possibile farne una graduatoria) è quella rappresentata dal fatto che il presidente
estensore ha anticipato il giudizio sull’esito della domanda, affermando che “il ricorso è destinato
ad essere dichiarato inammissibile”; dimenticando, però, che il potere di definire il procedimento è
demandato esclusivamente al collegio e non è delegabile (art. 473 bis.1, c. p. c.).
Non che a fronte di una questione litis ingressum impediens il presidente sarebbe dovuto restare
inerte, perché sicuramente gli va riconosciuto il potere-dovere di segnalare tale questione sin ab
initio, cioè con il decreto di fissazione dell’udienza di prima comparizione. Ma, come ognun
comprende, una cosa è rilevare una questione idonea a definire il processo, altra cosa è anticipare
il giudizio, come è avvenuto nel caso di specie. Non senza considerare che il presidente del
collegio è solo un primus inter pares ed il suo voto ha lo stesso valore di quello di ognuno degli
altri componenti del collegio; sicché ben potrebbe avvenire che gli altri due componenti del
collegio ritengano infondata la tesi presidenziale ed escludano l’operatività dell’inammissibilità
della domanda supposta dal presidente.
Il che ci induce ad affermare che tutte le asserzioni contenute nel provvedimento riportato in
epigrafe, oltre a non reggere al vaglio della verifica positiva, si rivelano quanto meno imprudenti,
in quanto la presunta inammissibilità del ricorso, sbandierata con sicumera degna di miglior causa
dal presidente, potrebbe essere tenuta in assoluto non cale dagli altri componenti del collegio.
In definitiva, credo che si sia in presenza di un eccesso di zelo “sfascista”, che, partendo dal
presupposto che la riforma, oltre che inutile, sia destinata a peggiorare il già disastrato stato della
nostra giustizia civile, tende ad esaltarne le manchevolezze tecniche all’insegna della logica del
“tanto peggio tanto meglio”.
9 Ancorché non sia completamente priva di conseguenze negative per il ricorrente, il quale, per esempio, difficilmente
potrà ottenere inaudita altera parte un provvedimento ex art. 473 bis.15 in tema di affidamento o collocamento dei
minori.
9
Lascio al lettore il giudizio su tale modus procedendi. Per quel che mi interessa, faccio mio il
metodo sponsorizzato da un autorevole processualcivilista, il quale, a fronte delle contraddizioni e
lacune che presenta la nuova disciplina, ha affermato che “spetta agli interpreti ed agli operatori
sciogliere le prime e riempire le seconde”, perché “qui ed ora (…) si tratta di comprendere la
portata precettiva della nuova normativa e verificare come essa possa essere applicata”.
10 E,
soprattutto, sarebbe il caso di ricordare che i processi servono per decidere il merito, cioè per
accertare chi ha torto o ragione, non certo per dispute circa le regole processuali da applicare.