Cancellazione della società e debiti, responsabilità dell’Amministratore

Cancellazione della società e debiti, responsabilità dell’Amministratore

Corte di Cassazione; sezione tributaria; ordinanza 14 marzo 2023, n. 7425
La sezione quinta civile ha disposto, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della seguente questione, già decisa in senso difforme dalle sezioni semplici: se la condizione testualmente fissata dall’art. 2495 c.c., al fine di consentire ai creditori sociali di fare valere i loro crediti, dopo la cancellazione della società, nei confronti dei soci, si rifletta sul requisito dell’interesse ad agire in capo all’Amministrazione finanziaria o sulla legittimazione passiva del socio medesimo ai fini della prosecuzione del processo originariamente instaurato contro la società e se la riconducibilità nell’ambito dell’una condizione dell’azione o dell’altra implichi conseguenze specifiche in tema di onere della prova. Ciò tenuto conto anche che il processo tributario è annoverabile tra quelli di «impugnazione-merito» e della affermata natura dinamica dell’interesse ad agire, che come tale può assumere una diversa configurazione, ma fino al momento della decisione.
Il giudice della nomofilachia ha affermato che la cancellazione della società dal registro delle imprese ne determina ipso facto l’estinzione, avendo assunto la formalità della cancellazione a seguito della vicenda riformatrice (art. 2495 c.c., nel testo risultante a seguito della riforma del diritto societario, attuata dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, la cui entrata in vigore è stata fissata al 1° gennaio 2004) la medesima efficacia costitutiva che per le società di capitali riveste la formalità dell’iscrizione, e ciò, con un significativo mutamento di rotta rispetto all’orientamento giurisprudenziale prevalente ed indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici ad essa facenti capo (Cass., Sez. U., 22 febbraio 2010, n. 4060, in Foro it., 2011, I, 1499).
La Cassazione si era già espressa nel senso di ritenere estinta la società che sia cancellata dal registro delle imprese, indipendentemente dalla sussistenza di crediti insoddisfatti e di rapporti di altro tipo non definiti, in virtù dell’art. 2495 c.c., come modificato dall’art. 4 d.leg. 17 gennaio 2003 n. 6, nonché nel senso che quest’ultima norma novellata trovi applicazione anche in ordine alle cancellazioni intervenute anteriormente al 1° gennaio 2004, data di entrata in vigore delle modifiche introdotte dal decreto ora richiamato, con la sola esclusione dei rapporti esauriti e degli effetti già irreversibilmente verificatisi, poiché esso regola i soli effetti della cancellazione e non già i suoi presupposti (così, Cass. 13 novembre 2009, n. 24037, Foro it., Rep. 2009, voce Società, n. 80).
Successivamente a tali arresti, la Corte di Cassazione ha affermato che, nell’ipotesi di estinzione delle società di capitali, la riscossione della quota in base al bilancio finale di liquidazione di cui all’art. 2495 c.c., non costituisce soltanto il limite di responsabilità del socio quanto al debito sociale (in prosecuzione ideale della responsabilità per le obbligazioni sociali assunta al momento della costituzione della società), ma anche la condizione per la di lui successione nel processo già instaurato contro la società. La Corte di Cassazione, in particolare, sulla premessa che il socio, a differenza, per esempio, dell’erede che, in morte della persona fisica, ha accettato l’eredità intra vires, con beneficio d’inventario, non è, in quanto tale, un successore universale della società, ma lo diventa nella specifica ipotesi disciplinata dalla legge, in cui egli abbia riscosso la quota in base al bilancio finale di liquidazione e che solo in tale caso può ammettersi, in senso generale e lato, che il socio succeda, seppure intra vires, nei rapporti giuridici facenti capo alla società, ha evidenziato la necessità che sia allegata e finanche dimostrata tale condizione, per cui la mancanza di riferimenti al fatto che il socio abbia riscosso, o meno, la propria quota in base al bilancio finale di liquidazione impedisce di affermare l’esistenza della condizione rapportabile all’interesse ad agire, la quale richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche la prospettazione dell’esigenza di ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile, conseguente allo specifico intervento giurisdizionale richiesto, giacché il processo non può essere utilizzato in previsione di solo astratte esigenze (Cass., sez. I, 16 maggio 2012, n. 19453, in Foro plus).
In particolare si è osservato che Inoltre, benchè l’art. 110 c.p.c., sembri ipotizzare che, in ogni caso in cui la parte venga meno, vi sia un successore universale che succede nel processo, la disciplina dettata dall’art. 2495 c.c., non prevede affatto che alla società estinta subentrino automaticamente i soci, la cui successione è, invece, subordinata al fatto di avere riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione. Pertanto, tale riscossione non costituisce soltanto il limite di responsabilità del socio quanto al debito sociale, ma anche la condizione per la sua successione nel processo già instaurato contro la società, posto che egli non è successore di questa in quanto tale, ma lo diventa nella specifica ipotesi, disciplinata dalla legge, di riscossione di somme (Cass., sez. trib., 16 maggio 2012, n. 7676, id., Rep. 2012, voce cit., n. 726).
II. Le Sezioni Unite hanno ulteriormente chiarito che, a seguito dell’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, che interviene nel processo (come nel caso affrontato dalla pronuncia in commento), viene a determinarsi un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono (il che sacrificherebbe ingiustamente i diritti dei creditori sociali), ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate. Ne discende che i soci successori della società, subentrano, altresì, nella legittimazione processuale facente capo all’ente — la cui estinzione è in parte equiparabile alla morte della persona fisica, ai sensi dell’art. 110 c.p.c. — in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ovverosia a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale (Cass., Sez. U., 12 marzo 2013, n. 6072, id., 2013, I, 2189, con nota di D. LONGO).
Tale sentenza ha specificato gli effetti della cancellazione volontaria dal registro delle imprese della società sui rapporti giuridici, sostanziali e processuali, esistenti al momento della estinzione.
La premessa su cui si fonda muove dalla considerazione che a seguito della novella dell’art. 2495, 2° comma, c.c., avvenuta con l’art. 4 d.leg. 17 gennaio 2003 n. 6, la cancellazione delle società di capitali determina l’estinzione della società, con efficacia costitutiva, nonostante la pendenza di rapporti giuridici in essere con la società.
Per tanto, la giurisprudenza di legittimità ha sostenuto la tesi che individua sempre nei soci coloro che sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata ma non definiti all’esito della liquidazione, fermo però restando il loro diritto di opporre al creditore agente il limite di responsabilità cui s’è fatto cenno. Il successore che risponde solo intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore e se il suaccennato limite di responsabilità dovesse rendere evidente l’inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito dell’interesse ad agire e non sulla legittimazione passiva del socio medesimo, con l’ulteriore specificazione che il creditore potrebbe avere comunque interesse all’accertamento del proprio diritto, ad esempio in funzione dell’escussione di garanzie.
Le Sezioni Unite, dunque, con la sentenza del 2013, hanno riconosciuto che la condizione di cui all’art. 2495 c.c. si riflette sul requisito dell’interesse ad agire, ma, nel contempo, hanno precisato che il creditore potrebbe avere comunque interesse all’accertamento del proprio diritto; a seguito dell’estinzione della società e della conseguente perdita della capacità processuale, il processo continua nei confronti dei soci, costituendo costoro la giusta parte processuale abilitata, in ragione del fenomeno «latamente» successorio che si realizza a seguito della cancellazione, ad assumere la veste di legittimo contraddittore nel successivo svolgimento del rapporto processuale, mentre nessuna persistente legittimazione può ravvisarsi in capo al liquidatore, poiché l’art. 2495 c.c. consente ai creditori sociali insoddisfatti di agire nei confronti del liquidatore solo se il mancato pagamento sia dipeso da questi, atteso che la posizione del liquidatore non è quella di successore processuale dell’ente estinto e che lo stesso può essere destinatario di un’autonoma azione risarcitoria e non anche della pretesa attinente al debito sociale (Cass., sez. trib., 30 luglio 2020, n. 16362, id., Rep. 2020, voce Tributi in genere, n. 1170).
III. La pronuncia in epigrafe ha descritto l’esistenza di differenti formanti di legittimità che richiamano principi ora di natura processuale ora di natura sostanziale e ponendoli a fondamento di percorsi argomentativi non univoci.
Secondo un primo orientamento, ritenuto maggioritario che si muove nel solco tracciato dalle Sezioni Unite del 2013, il limite di responsabilità dei soci di cui all’art. 2495 c.c. non incide sulla loro legittimazione processuale ma, al più, sull’interesse ad agire dei creditori sociali, interesse che, tuttavia, non è di per sé escluso dalla circostanza che i soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale, potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si siano trasferiti ai soci (Cass., sez. trib., 5 novembre 2021, n. 31904, id., Rep. 2021, voce Riscossione delle imposte e delle entrate dello Stato e degli enti pubblici, n. 80).
L’effettiva liquidazione e ripartizione dell’attivo e, prima ancora, ovviamente, la sua sussistenza se costituisce fondamento sostanziale e misura (nonché limite) della responsabilità di ciascuno dei successori non può però anche ritenersi presupposto della assunzione, in capo al socio, della qualità stessa di successore e, correlativamente, della legittimazione ad causam ai fini della prosecuzione del processo ai sensi dell’art. 110 c.p.c. Il creditore potrebbe avere interesse al mero accertamento del diritto e l’eventuale insussistenza di attivo distribuito potrebbe incidere sulla esigibilità del credito in fase esecutiva (Cass., Sez. Un., 15 gennaio 2021, n. 619, id., Rep. 2021, voce cit., n. 1090).
Così è stato precisato che la circostanza che nessuna somma sia stata ripartita ai soci succeduti per mancanza di attivo non incide sulla legittimazione dei soci, giacché non configura una condizione da cui dipende la possibilità di proseguire nei loro confronti l’azione originariamente intrapresa dal creditore sociale verso la società e che i soci abbiano goduto, o no, di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione non è dirimente neanche ai fini dell’esclusione dell’interesse ad agire del fisco creditore.
Un diverso orientamento afferma che è necessario provare sia la reale percezione delle somme, sia l’entità di tali somme e tale onere probatorio incombe sul creditore che intende agire contro i soci, secondo il normale riparto dell’onere della prova e in applicazione del principio che l’onere della prova incombe su chi pretende di far valere un diritto. Spetta, dunque, al creditore (che pretende) e non al debitore, l’onere della prova dell’azionata pretesa (art. 2697 c.c.) e grava sul creditore l’onere della prova circa la distribuzione dell’attivo sociale e la riscossione di una quota di esso in base al bilancio finale di liquidazione, trattandosi di elemento della fattispecie costitutiva del diritto azionato dal creditore nei confronti del socio (Cass., sez. III, 15 gennaio 2020, n. 521, id., 2020, I, 915, con nota di G. NICOLINI, La responsabilità del liquidatore di società di capitali cancellata dal registro delle imprese secondo la Cassazione).
Un terzo orientamento, invece, assume che, nel caso di società di capitali, gli ex soci possono ritenersi subentrati dal lato passivo nel rapporto d’imposta solo se e nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione e che l’accertamento di tali circostanze costituisce presupposto della assunzione, in capo al socio, della qualità di successore e, correlativamente, della legittimazione ad causam ai fini della prosecuzione del processo ai sensi dell’art. 110 c.p.c. e, come tale, in presenza di contestazione sul punto, va provata dal soggetto che si costituisce in giudizio l’insussistenza della legittimazione ad causam; in particolare, il soggetto che nel corso del giudizio si costituisce nella qualità di successore universale della società estinta ha l’onere di fornire, in presenza di contestazione sul punto, la prova della asserita qualità di socio, dimostrazione da ritenersi ammissibile anche, per la prima volta, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., in quanto per l’appunto diretta a comprovare, sotto il profilo detto, l’ammissibilità del ricorso (Cass., sez. trib., 5 novembre 2021, n. 31904, id., Rep. 2021, voce cit. n. 80).
IV. La circostanza che il socio succeduto abbia goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione, è stata ritenuta non dirimente ai fini dell’esclusione dell’interesse ad agire del fisco creditore, potendovi essere la possibilità di sopravvenienze attive, o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio, per i quali sorge l’interesse dell’Amministrazione finanziaria a procurarsi un titolo nei confronti dei soci. Ciò sul solco di quanto affermato dalle Sezioni Unite del 2013, che hanno sì riconosciuto che la circostanza che i soci abbiano goduto o meno di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione possa riflettersi sul requisito dell’interesse ad agire, ma, nel contempo, hanno precisato che il creditore potrebbe comunque avere interesse all’accertamento del proprio diritto, come nel caso espressamente menzionato di diritti e beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta o di creditore che abbia esperito azione revocatoria ove la società debitrice alienante si sia estinta per cancellazione dal registro delle imprese.
Da tali premesse la necessità dell’intervento chiarificatore delle sezioni unite.

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