Corte di Cassazione; sezione II civile; ordinanza 27 gennaio 2023
. La pronuncia in commento si occupa del carattere vessatorio delle clausole, inserite in un contratto del consumatore, che prevedono la competenza arbitrale in ragione dell’esistenza di una clausola compromissoria.
Nei contratti stipulati con i consumatori è possibile riscontrare, con particolare frequenza, la presenza di clausole di tipo compromissorio; condizioni che, di fatto, sottraggono alla cognizione del “giudice naturale” le eventuali controversie che dovessero insorgere nel corso del rapporto, affidandone la risoluzione ad arbitri, clausole che deferiscono ad un terzo la determinazione dell’oggetto del contratto oppure che rinviano ad una perizia contrattuale.
La spinta verso il tentativo di sottrarre alla cognizione del giudice le controversie tra intermediari e clienti — sebbene, in parte, da inscrivere in un più ampio contesto di moralizzazione dei rapporti e, dunque, di rafforzamento della fiducia nel sistema, da una parte, e della reputazione economica, dall’altra — non può prescindere dalle peculiarità proprie di tali rapporti e, dunque, dalla fragilità dell’investitore, dallo squilibrio delle posizioni contrattuali e dalla disciplina apprestata per fronteggiare tale condizione di asimmetria (L. ALBANESE, Il contenzioso bancario e finanziario: tra sistemi di risoluzione alternativa delle controversie e vessatorietà delle clausole compromissorie, in Resp civile e prev., 2017, 1873).
II. La Corte di Cassazione ha avuto già modo di osservare che clausole di tale tenore sono nulle alla luce del risalente (ma ancora attuale) principio di diritto secondo cui l’efficacia della clausola compromissoria, in quanto clausola vessatoria, è subordinata alla specifica approvazione per iscritto nei soli casi in cui detta clausola sia inserita in contratti con condizioni generali predisposte da uno solo dei contraenti (art. 1341 c.c., comma 1) ovvero conclusi mediante sottoscrizione di moduli o formulari, art. 1342 c.c., comma 1, (Cass., sez. 1, 24 settembre 1996, n. 8407, Foro it., Rep. 1996, voce Arbitrato e compromesso, n. 136).
A tale risultato si perviene, a fortiori, sulla base della successiva disciplina della materia impressa dall’entrata in vigore del d.leg. n. 206/2005, (codice del consumo), dovendosi attribuire la qualifica di consumatore di cui al d.leg. 6 settembre 2005, n. 206, art. 3, – rilevante ai fini della identificazione del soggetto legittimato ad avvalersi della tutela di cui all’art. 33 del citato d.lgs., alle sole persone fisiche allorché concludano un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata (Cass., Sez. 6, 12 marzo 2014, n. 5705, id., Rep. 2014, voce Consumatori e utenti, n. 43).
In particolare, l’art. 33 cod. cons., comma 2, lett. u, prevede che si presume vessatoria, fino a prova contraria, la clausola che abbia l’effetto di stabilire come competente un foro diverso da quello di residenza o di domicilio elettivo del consumatore. L’art. 4 cod. cons., comma 4, esclude la vessatorietà delle clausola che abbiano costituito oggetto di trattativa individuale, ma il successivo comma 5 precisa che, nel caso di contratto concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, incombe sul professionista l’onere di provare che le clausole, malgrado siano dal medesimo unilateralmente predisposte, abbiano costituito oggetto di specifica trattativa con il consumatore.
Pertanto, nel caso di contratti predisposti unilateralmente dal professionista, al requisito della diretta conoscenza della clausola derogatoria del foro, assicurato mediante la specifica approvazione per iscritto prevista dall’art. 1341 c.c., si aggiunge quello della necessità di una apposita negoziazione, imposta quale condizione di efficacia dall’art. 34 cod. cons., comma 4.
III. In relazione a tali tipi di rapporti, va ricordato che il foro del consumatore, sebbene esclusivo, è di natura derogabile, in forza di quanto previsto dal d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 33, comma 2, lett. u, ma tale deroga è possibile “sempre che si dimostri l’esistenza di una specifica trattativa tra le parti, sicché la prova di tale circostanza costituisce onere preliminare a carico del professionista che intenda avvalersi della clausola di deroga, ponendosi l’esistenza della trattativa come un prius logico rispetto alla dimostrazione della natura non vessatoria di siffatta clausola” (Cass., sez. 6, 10 luglio 2013, n. 17083, id., Rep. 2013, voce Contratto in genere, atto e negozio giuridico, n. 348).
Nella fattispecie portata all’attenzione della pronuncia in commento, non si tratta neppure di una deroga del foro del consumatore ma di una limitazione ancor più gravosa, ossia della “deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria”, di cui al d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 33, comma 2, lett. t), per essere competenti gli arbitri.
Al pari della deroga della competenza del foro del consumatore, anche per tale ipotesi (la “deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria” tout court) la prova di tale circostanza “costituisce onere preliminare a carico del professionista che intenda avvalersi della clausola”, ponendosi l’esistenza della trattativa come un prius logico rispetto alla dimostrazione della natura non vessatoria di siffatta clausola; che, pertanto, mancando una prova siffatta deve concludersi per la natura vessatoria della clausola e conseguentemente per la sua nullità (Cass., sez.6, 13 febbraio 2017, n. 3744, id., Rep. 2017, voce Contratto in genere, atto e negozio giuridico, n. 309).
In conclusione, in tema di arbitrato tra banca e consumatore, la deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria in favore degli arbitri, in forza di quanto previsto dal d.leg. 6 settembre 2005, n. 206, art. 33, comma 2, lett. t), è possibile alla condizione che si dimostri l’esistenza di una specifica trattativa tra le parti, e la prova di tale circostanza costituisce onere preliminare a carico del professionista che intenda avvalersi della clausola arbitrale di deroga, ponendosi l’esistenza della trattativa come un prius logico rispetto alla dimostrazione della natura non vessatoria di siffatta clausola.