In punto di diritto va detto che il giudizio instaurato nei confronti dell’erede per anche per i debiti del de cuius ed in generale per i debiti di un bene in successione, incombe su chi agisce, in applicazione del principio generale di cui all’art. 2967 c.c., l’onere di provare l’assunzione da parte del convenuto della qualità di erede.
Ebbene, la qualità di erede non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso ma consegue unicamente all’accettazione.
L’accettazione costituisce condizione ed elemento imprescindibile per azionare un qualunque diritto nei confronti dell’erede, condizione in mancanza della quale non sia ha alcuna legittimazione passiva e la relativa domanda risulta inammissibile.
Tali principi sono stati espressi e sanciti da un arresto della Suprema Corte di Cassazione (n. 21436/2018) che ha accolto il ricorso e cassato quanto stabilito dalla Corte di Appello di Salerno dinanzi al quale era proposta impugnazione avverso una sentenza del Tribunale territoriale in tema di opposizione a decreto ingiuntivo.
La Suprema Corte ha ritenuto erroneo l’iter seguito dalla Corte salernitana nella parte in cui riteneva sussistente una imprecisata legittimazione passiva del chiamato all’eredità, pur in assenza di una formale accettazione .
Ne consegue che in ipotesi di giudizio instaurato nei confronti del preteso erede, incombe in chi agisce l’onere di provare l’assunzione da parte del convenuto della sua qualità di erede, la quale non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità.
Si tenga presente che al fine di realizzare la finalità di stabilire i rapporti giuridici, l’art. 481 c.c. stabilisce che chiunque abbia interesse può chiedere all’autorità giudiziaria la fissazione di un termine entro il quale il chiamato all’eredità dichiari se accetta o meno la stessa.