I genitori possono recuperare i dati dall’account del figlio deceduto?

I genitori possono recuperare i dati dall’account del figlio deceduto?

Sempre più discusse sono le problematiche relative alla c.d. eredità digitale, che in estrema sintesi ruotano attorno all’esigenza di stabilire la sorte dei beni digitali – ivi compresi quelli che non abbiano un contenuto patrimoniale – di una persona dopo la sua morte. Particolarmente delicata è la situazione quando i beni digitali sono archiviati in sistemi di storage protetti da password, che talvolta prevedono l’eliminazione dei contenuti in caso di morte dell’utente.

In quest’ambito interviene l’ordinanza qui riportata con la quale il Tribunale di Milano ha accolto il ricorso d’urgenza proposto dai genitori di una persona deceduta che chiedevano di condannare il provider del servizio di cloud utilizzato dal figlio a rendere loro accessibili i dati ivi immagazzinati.

La decisione favorevole ai ricorrenti trova una base normativa nell’art. 2 terdecies del codice in materia di protezione dei dati personali (disposizione introdotta dal d.leg. 10 agosto 2018 n. 101, che si riallaccia, ampliandola, alla disciplina posta dal previgente art. 9, 3° comma dello stesso codice). Alla stregua del 1° comma di tale disposizione il diritto di accesso ai dati personali concernenti persone decedute (così come altri diritti conferiti all’interessato dal Regolamento (Ue) 2016/679) può essere esercitato “da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione”. Nel caso di specie, il giudicante ha ravvisato la sussistenza delle anzidette ragioni familiari: a tale proposito, oltre a dare rilievo al legame esistente tra i genitori il figlio, è stato valorizzato l’intento di recuperare parte delle immagini relative all’ultimo periodo di vita dello scomparso e di realizzare un progetto che potesse tenerne viva la memoria. Inoltre, si è escluso che la persona deceduta avesse vietato che altri esercitassero il diritto di accesso dopo la sua morte, mediante esplicita dichiarazione scritta presentata al titolare del trattamento, come previsto dal 2° comma del citato art. 2 terdecies.

Un passaggio significativo della motivazione è quello nel quale il Tribunale mette in luce come il provider non possa subordinare l’accesso a requisiti che si pongono in conflitto con la disciplina nazionale e, oltretutto, richiamano regole e istituti proprie di altri ordinamenti. Infine, quanto al periculum in mora, si ritiene che tale presupposto della tutela cautelare sia integrato per via del fatto che il provider aveva dichiarato che, dopo un certo periodo di inattività dell’account, i dati sarebbero stati definitivamente irrecuperabili.

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