Nel caso sottoposto all’attenzione del Supremo collegio, viene in rilevo la clausola, contenuta in un contratto contro il rischio di sostenere esborsi per la tutela legale, in virtù della quale non erano indennizzabili le «spese per le controversie derivanti da fatti dolosi dell’assicurato». Il giudice d’appello aveva respinto la domanda di condanna della compagnia assicuratrice al pagamento della somma corrispondente alla parcella che era stata richiesta dal difensore dell’assicurato, a fronte dell’assistenza prestata in favore di quest’ultimo nel procedimento penale instaurato nei suoi confronti per i reati di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico e di truffa, che si era concluso con un’ordinanza di archiviazione del g.i.p., per insussistenza dei fatti contestati. A fondamento di siffatta statuizione la sentenza impugnata in sede di legittimità aveva evidenziato: 1) la non vessatorietà della clausola sopra citata; 2) operava l’esclusione ivi prevista, “non potendo essere questa condizionata all’esito del giudizio penale”; 3) “non poteva ritenersi sufficiente l’allegazione della parcella rimessa dal professionista, né quella della fattura, ma era necessaria la prova dell’avvenuto pagamento da parte del cliente”.
La pronuncia in rassegna, mentre avalla il giudizio non vessatorietà (trattandosi di clausola che deroga all’art. 1900 c.c. in senso favorevole all’assicurato, ammettendo l’indennizzo per sinistri cagionati da colpa grave), ritiene erronee le affermazioni di cui ai punti 2) e 3). Quanto alla ricostruzione del significato della clausola al centro della contesa, la Cassazione – dopo aver ricordato che “per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data al contratto dal giudice del merito non deve essere l’unica possibile, né la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni” (v., ad es., Cass. 28 novembre 2017, n. 28319, Foro it., Rep. 2017, voce Cassazione civile, n. 124) – sottolinea che la polizza sottoscritta dall’assicurato “faceva riferimento, non al titolo della contestazione accusatoria, bensì alla natura (dolosa o meno) dei fatti commessi dall’assicurato”. Il giudice d’appello aveva, quindi, optato per un’interpretazione non plausibile della clausola che sanciva l’esclusione della copertura. Per quel che concerne poi la dimostrazione dell’avvenuto pagamento delle spese di difesa, i giudici della legittimità osservano che, sempre a tenore della polizza, non era indispensabile, ai fini dell’ottenimenti dell’indennizzo, il previo anticipo di tali spese da parte dell’assicurato.