È pervenuta alle sezioni unite, su rimessione officiosa ad opera del Tar Emilia Romagna-Parma, una questione relativa all’individuazione del giudice fornito di giurisdizione in ordine alle pretese avanzate dal privato in dipendenza di contratto stipulato con la pubblica amministrazione. Nel caso di specie, l’Agenzia interregionale per il fiume Po, ente pubblico istituito con leggi regionali del Piemonte, della Lombardia, dell’Emilia Romagna e del Veneto, aveva stipulato con alcuni privati un contratto a mezzo del quale questi ultimi concedevano all’Agenzia il diritto di stoccare rifiuti su terreni di loro proprietà in cambio di un (modesto) canone e dell’impegno a liberare e bonificare i terreni a fine rapporto. Veniva proposta avanti il giudice ordinario (Tribunale di Parma) controversia per l’adempimento degli obblighi assunti dall’Agenzia: ma il Comune di Parma, chiamato in garanzia dall’ente convenuto, eccepiva la carenza di giurisdizione del giudice adito. Quest’ultimo rimetteva le parti dinanzi al Tar che, a sua volta, sollevava conflitto negativo, evocando così l’intervento della Suprema corte, la quale ha definito la questione nell’inerzia delle parti in causa. E il giudice della giurisdizione ha affermato che la controversia va devoluta al Tribunale ordinario.
Ritiene invero la Corte regolatrice che i c.d. accordi procedimentali – in quanto destinati a sostituire, a mezzo dell’intesa pubblico-privato, il provvedimento amministrativo – sono attratti nel perimetro della giurisdizione amministrativa, ai sensi dell’art. 133, 1° comma, lett. a, n. 2, cod. proc. amm., solo quando la controversia, qualificata con riferimento al suo petitum sostanziale (recte, alla domanda concretamente formulata dal privato), non solleciti un sindacato relativo alle modalità di esercizio dei poteri autoritativi della p.a., ma concerna esclusivamente gli effetti privatistici degli accordi intercorsi fra l’ente pubblico e il privato. In tale ambito, la controversia spetta al g.a. qualora oggetto di lite sia il segmento genetico dell’accordo, quello cioè nel quale la pubblica amministrazione compare quale soggetto che, investito di funzioni e poteri pubblici, si colloca su piano sovraordinato rispetto a quello del privato (traccia di un tal modo di argomentare si rinviene anche in un altro rilevante filone di controversie sulla giurisdizione, relativo alla responsabilità civile dell’ente pubblico: si veda in particolare Cons. Stato, ad. plen., 23 aprile 2021, n. 7, Foro it., 2021, III, 394); essa appartiene, per converso, alla cognizione del giudice ordinario quante volte non si faccia questione di formazione degli accordi, ma semplicemente della loro esecuzione.
Il Supremo collegio ha parimenti escluso l’applicabilità dell’art. 133, 1° comma, lett. f, cod. proc. amm., dal momento che l’attività di stoccaggio dei rifiuti non rientra per sé sola nelle materie di governo del territorio, con conseguente assenza di un interesse pubblico che sorregga l’acquisizione consensuale del terreno (per un caso in cui le sezioni unite avevano invece ritenuto operante l’art. 133, 1° comma, lett. a e f, cod .proc. amm, v. Cass., sez. un., 24 luglio 2023, n. 22144, ForoPlus, dove il contratto di permuta tra amministrazione e privato era stato ritenuto strumento alternativo al provvedimento di esproprio, volto al perseguimento dell’interesse pubblico sotteso alla pianificazione territoriale).
A margine della decisione qui riportata possono formularsi le seguenti ulteriori considerazioni. Si legge nell’illustrazione (tradizionalmente scarna) dei fatti di causa che le confliggenti soluzioni date al tema giurisdizione dal giudice ordinario e da quello amministrativo – le cui incrociate declinatorie di giurisdizione avevano dato origine al conflitto negativo – avevano entrambe dato rilievo al tipo di accordo dedotto in giudizio piuttosto che all’individuazione del segmento dell’accordo sottoposto a vaglio giudiziale (formazione della volontà a mezzo di determinazione discrezionale della p.a. oppure mera esecuzione delle obbligazioni da tale congiunta volontà scaturite). Per converso, la soluzione adottata dalle sezioni unite segue il percorso logico, affatto differente, sopra descritto: se è questione di esercizio di potere discrezionale la causa va incardinata presso il Tar; se si fa questione di obblighi assunti dalle parti dovrà decidere l’a.g.o. Ma la soluzione non sempre può apparire di totale chiarezza. Non infrequentemente, nell’agire per ottenere l’adempimento di un contratto (o il risarcimento del danno da suo inadempimento), si passa, almeno in via incidentale, a trattare questioni che attengono al suo momento genetico (a titolo esemplificativo, si immagini che, per difendersi dalla pretese attoree, il convenuto sollevi questioni interpretative conseguenti alla formazione dell’accordo; prima fra tutte, la ricostruzione della volontà effettiva delle parti nella fase in cui si è addivenuti all’intesa negoziale). In una tale evenienza (per vero non infrequente) il criterio discretivo suggerito dalle sezioni unite potrebbe apparire di scarsa utilità: perché è vero che si controverte di un aspetto esecutivo, ma si pretende che su di esso rifletta luce il momento genetico. Sennonché, l’ordinanza in rassegna offre, a leggerla con attenzione, una chiave più raffinata per uscire dalle secche del caso qui ipotizzato. In essa si fa riferimento, come già ricordato, al petitum sostanziale, che si può tradurre nel provvedimento concretamente sollecitato dalla parte. Ove si utilizzi tale criterio discretivo, può risultare più semplice determinare se la causa abbia per oggetto diretto una statuizione relativa alle sole conseguenze privatistiche del contratto con una parte pubblica ovvero anche questioni relative alla sua formazione: nel primo caso, anche se per decidere sarà necessario investigare questioni inerenti alla costituzione del vincolo, ciò non sposterà la controversia da giudice civile al Tar, in quanto tale attività di investigazione, meramente incidentale, non è idonea a mutare la natura esclusivamente privatistica del petitum sostanziale. D’altronde, è dal lontano 1865 che al giudice civile è concesso disapplicare, incidenter tantum, gli atti amministrativi illegittimi.