Il marciapiede dissestato e il pedone distratto

Il marciapiede dissestato e il pedone distratto

Nella ricostruzione del regime di responsabilità per danne da cose in custodia, la giurisprudenza può dirsi ormai univoca nell’affermare che il criterio di imputazione di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell’art. 1227, 1° comma, c.c., e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull’evento dannoso, che può anche essere esclusiva (v., ad es., Cass. 30 ottobre 2018, n. 27724, Foro it., Rep. 2018, voce Responsabilità civile, n. 186, con cui si è respinto il ricorso avverso la sentenza d’appello, che aveva escluso la responsabilità dell’ente proprietario della strada, sul presupposto che la buca presente sul manto stradale, che aveva determinato la caduta del ciclomotore dell’attrice, si presentava ben visibile in quanto di apprezzabili dimensioni, non ricoperta da materiale di sorta e collocata al centro della semicarreggiata percorsa dall’attrice, nell’ambito di un più ampio tratto stradale dissestato e sconnesso).

L’ordinanza qui riportata intende dare continuità a tale orientamento, in particolare nella parte in cui valorizza la condotta del danneggiato. È stata infatti confermata la pronuncia con cui la corte territoriale, in sintonia con il dictum del giudice di primo grado aveva respinto la domanda risarcitoria proposta nei confronti dell’amministrazione comunale da una persona che era caduta su un marciapiede dissestato che fiancheggiava uan strada urbana. Ad avviso del Supremo collegio, infatti, non può dirsi erronea la conclusione raggiunta in appello, dal momento che: «a) era risultato provato che l’incidente era avvenuto in pieno centro cittadino, in luogo dove era presente illuminazione pubblica che garantiva la visibilità dei luoghi; b) dalle acquisite fotografie raffiguranti il dissesto era risultato che l’assenza di mattonelle fosse di estensione tale da essere agevolmente visibile a chiunque e, da chiunque, facilmente apprezzabile; c) tale “evidenza” dell’anomalia, percepibile ad occhio nudo […], non poteva essere trascurata da alcuno […], non essendo risultato dall’espletata istruttoria che il dislivello, non segnalato, fosse occultato dalla presenza di ingombri o ostacoli specifici».

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp

Hai bisogno di aiuto?

Contattaci, un nostro consulente è pronto ad ascoltarti e trovare la giusta soluzione.

Scrivici